Lo scorso 30 Gennaio 2018 la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ha diffuso un approfondimento in cui chiarisce alcune problematiche e alcuni aspetti della previdenza complementare e del versamento del TFR pregresso.
Il riferimento normativo principale in merito è la riforma della previdenza complementare, introdotta dal D. Lgs. 252/2005, il quale, all’art. 8, ha previsto che la generalità dei lavoratori dipendenti, nei sei mesi successivi alla data di prima assunzione, esprimano la propria adesione ad una forma di previdenza complementare, scegliendo se conferire ad essa o no le quote di TFR che andranno a maturare da quel momento in avanti.
La norma, nel dettato originario, non faceva alcun riferimento alla possibilità di trasferire alle stesse forme di previdenza complementare il TFR pregresso, ovvero le quote di trattamento di fine rapporto già maturato, accantonato e custodito dal rispettivo datore di lavoro.
La prima fonte che ha legittimato tale possibilità è stata la circolare 70/E del 2007, dell’Agenzia delle Entrate che ha preso in esame l’ipotesi del conferimento del TFR accantonato prima del 2007 ai fini della sua tassazione: l’Agenzia delle Entrate rilevava come, il trasferimento delle somme di TFR pregresso al fondo di previdenza complementare non costituisse, per il datore di lavoro motivo di imponibilità per quelle stesse somme; il trasferimento, in altri termini, non assumeva rilevanza fiscale al momento del trasferimento. L’importo del TFR pregresso deve essere, invece, imputato alla posizione individuale (ovvero al lavoratore e non al datore di lavoro) e tassato al momento dell’erogazione della prestazione pensionistica.
Tale interpretazione di carattere fiscale è stata confermata anche L. 244/2007 che va a specificare, introducendo nell’art. 23 del D.Lgs. n. 252/2005, il comma 7-bis:
“Nel caso di conferimento alla forma pensionistica complementare di quote di TFR maturate entro il 31 dicembre 2006 resta ferma, in occasione dell’erogazione delle prestazioni, l’applicazione delle disposizioni del comma 5. A tal fine le somme versate concorrono a incrementare convenzionalmente la posizione individuale in corrispondenza dei periodi di formazione del TFR conferito”.
Al di là del trattamento fiscale e delle modalità di tassazione, questa specifica ha ulteriormente sollecitato fondi e assicurati riguardo al problema della legittimità del trasferimento del TFR. Per questo Covip è intervenuta, nel maggio 2009, affermando che il conferimento delle quote di TFR pregresso a un fondo di previdenza complementare era pienamente legittimo in presenza di un accordo tra datore di lavoro e lavoratore, specie nel caso in cui lo statuto del Fondo non prevedesse esplicitamente questa modalità di finanziamento.
Secondo la Covip, in altri termini, il TFR pregresso non può essere considerato come una fonte di contribuzione normale ma eccezionale, che può legittimamente trovare efficacia in base ad un accordo specifico individuale tra lavoratore e azienda, ove ciò non sia già previsto dalla contrattazione collettiva. Tale possibilità emerge anche dalla nota informativa fornita dal fondo di previdenza complementare, dove si chiarisce al lavoratore la possibilità di poter allocare sulla propria posizione anche lo stock pregresso. Non occorre necessariamente per la Covip una revisione o integrazione della contrattazione collettiva sul presupposto che il TFR pregresso può ben essere destinato al fondo in base ad un accordo individuale azienda-lavoratore.
Secondo la Covip, inoltre, non si rendeva necessaria alcuna revisione della contrattazione collettiva di settore né dell’ordinamento del fondo, essendo del tutto sufficiente l’accordo fra le parti ed, eventualmente, una menzione di questa possibilità nella nota informativa del Fondo ai suoi assicurati a legittimare al fondo la devoluzione del TFR pregresso.
TFR pregresso e Fondo di Tesoreria
Dopo 5 anni, nel maggio 2014, la Covip è tornata ad esprimersi su questo stesso argomento, in risposta a un Fondo che si interrogava sulla possibilità di destinare a previdenza complementare quote di TFR pregresso accantonate dopo il 31 Dicembre 2006.
L’organismo di vigilanza, riprendendo ad litteram quanto già chiarito nel 2009, ha interpretato il quadro normativo vigente muovendo dalla novella normativa del 2007 che, seppur riferita all’ambito fiscale, aveva specificato il proprio chiarimento limitandosi a quanto maturato entro il 2006 solo per ragioni di natura fiscale. Nella lettura delle norme fornita dalla Covip, nulla
osta ad estendere tale possibilità di trasferimento del TFR pregresso anche se accumulato dopo il 2006, all’unica condizione che la devoluzione avvenga in presenza di un accordo fra il datore di lavoro presso cui tale liquidità sia custodita e il lavoratore interessato. La Covip non ignorava, tuttavia, che per effetto della L. 296/2006 articolo 1, c. 755, il TFR pregresso accantonato dal 2007 non si troverà in azienda, anche se non conferito a previdenza complementare e mantenuto nel regime ‘naturale’ di cui all’art. 2.120 c.c., ma sarà giacente presso il Fondo di Tesoreria Inps per tutti i datori di lavoro del settore privato che abbiano alle proprie dipendenze almeno 50 addetti (calcolati come organico medio nell’anno 2006 o, in caso di realtà aziendali sorte successivamente, nell’anno solare di inizio attività).
In merito a tale punto, la Covip sceglieva di mantenere una riserva che solo l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, interpellato sull’argomento, avrebbe potuto sciogliere.
Oggi, a più di 3 anni dal secondo intervento della Covip, non risulta sia ancora giunto alcun chiarimento in materia. Un recente trend normativo ha insistito nella flessibilizzazione delle finalità della previdenza complementare: la L. 232/2016 ha introdotto temporaneamente la Rita, consentendo agli assicurati di utilizzare il proprio montante contributivo di secondo pilastro quale ‘reddito-ponte’ fino al conseguimento della pensione di vecchia, senza tenere conto dell’ulteriore possibilità di convertire i premi di risultato detassabili in contributi a forme di previdenza complementare in regime di assoluta deducibilità, anche oltre la soglia annua ordinaria di 5.164,57 euro. La legge n.124/2017 ha poi consentito alla contrattazione collettiva di determinare il versamento parziale del TFR degli aderenti alle forme di previdenza complementare, introducendo anche una rendita per gli inoccupati da più di 24 mesi che distino dalla pensione da 5 a 10 anni (a seconda delle modalità di accesso previste dall’ordinamento del fondo).
Ulteriori novità sono attese anche ad opera della legge di stabilità del 2018 (L. 205/2017, art. 1, c. 168), che – abrogando i precedenti interventi normativi – ha definitivamente stabilizzato la Rita, inserendola all’interno dell’art. 11 (cc. 4-4 ter dell’art. 11 del D.Lgs. 252/2005), riassumendo i due interventi apparsi fra il 2016 e il 2017 con l’identificazione di una nuova e più larga platea di assicurati, accompagnandoli a pensione fino a 10 anni prima dalla pensione di vecchiaia e slegando questa indennità ponte dalla procedura di richiesta e dalle sorti dell’Ape volontario, peraltro, non ancora decollato dopo oltre 7 mesi di ritardo.
Va inoltre rilevato come i fondamenti giuridici del versamento obbligatorio al fondo di Tesoreria Inps non siano in conflitto con il versamento del pregresso.
Infatti, la L. 296/2006, istitutiva del fondo, all’art. 1 c. 756, destina allo stesso, per i datori con almeno 50 addetti, un contributo pari alla quota del TFR
“non destinata alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n.252”.
Sulle concrete modalità di versamento, la fonte di riferimento è il decreto interministeriale del 30 gennaio 2007, il quale all’art. 1 c. 1 riprende il dettato della Legge 296 senza alcuna variazione. L’articolo 3 del decreto interministeriale distingue, inoltre, le ipotesi dei dipendenti il cui rapporto di lavoro sia iniziato prima o dopo il 31.12.2006, senza tuttavia menzionare l’ipotesi di una iniziale scelta di conferimento del TFR al proprio datore di lavoro.
L’articolo (c. 1 lett. b) – per i rapporti avviati a partire dal 2007 – specifica che il contributo al Fondo di Tesoreria è dovuto fino al momento del conferimento del TFR alle forme di previdenza complementare, senza tuttavia contemplare l’ipotesi di un esplicito conferimento del pregresso sulla base di un accordo fra datore di lavoro e dipendente.
Come chiarito dalla Circolare 70/E del 2007 dall’Agenzia delle Entrate, il versamento del TFR pregresso alla forma di previdenza complementare non genera un’imposizione del montante trasferito, che si somma a quanto già accantonato presso il fondo, mantenendo la tassazione prevista – ratione temporis – dagli artt. 11 e 23 del D.lgs. n.252/2005.
Antonello Orlando e Vincenzo Silvestri, che hanno curato l’approfondimento del 30 Gennaio 2018 della Fondazione Studi, chiudono il documento con un utile esempio di calcolo.
Questo articolo è stato modificato per l'ultima volta il 31 Gennaio 2018 11:30