Approfondimento 24/4/2020 Fondazione Studi: la libera circolazione del professionista
Con l’Approfondimento del 24 Aprile 2020 la Fondazione Studi intende chiarire le possibilità e i limiti della libera circolazione del professionista nel corso dell’emergenza sanitaria legata alla diffusione della sindrome da COVID-19.
Uno dei motivi per cui è consentita la circolazione delle persone in questo periodo di lockdown è costituito dalle “comprovate esigenze lavorative”. Tale casistica si configura pertanto come una delle motivazioni da poter citare nell’autodichiarazione, di cui bisogna munirsi per effettuare gli spostamenti e a cui è stato dedicato l’Approfondimento del 22 aprile della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, che si è soffermato sui risvolti penali dovuti a eventuali dichiarazioni mendaci.
L’Approfondimento del 24 Aprile 2020 mira, invece, a indagare un caso specifico di lavoratore spinto a circolare da motivazioni legate alla sua attività: il professionista. Alla luce delle norme generali che regolano la circolazione e le autodichiarazioni, si esaminerà quanto per il lavoratore in questione sia necessario recarsi al proprio studio per svolgere l’attività professionale che, diversamente, non potrebbe essere assolta nell’abitazione di residenza o domicilio.
Premessa
Con il decreto del 22 marzo 2020, adottato “allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19”, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha disposto che siano sospese “tutte le attività produttive industriali e commerciali”, ma non le “attività professionali”, ferme restando “le previsioni di cui all’articolo 1, punto 7 decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 marzo 2020”.
Per la parte che interessa il tema della circolazione del professionista, il punto 7) dell’articolo 1 del DPCM 11 marzo 2020 raccomanda, in sintesi, di utilizzare modalità di lavoro agile, adottare sistemi di comunicazione a distanza e dispositivi di sicurezza anti-contagio come il rispetto della distanza interpersonale.
In data 25 marzo 2020 è stato emanato il decreto legge n. 19 con il quale si è stabilito, al punto a) del comma 2 dell’articolo 1,
“la limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative”.
Questo ordito legislativo deve essere integrato con i provvedimenti di natura attuativa emanati precedentemente a quelli sopra citati. Infatti, è in primo luogo da richiamare l’attenzione sulla direttiva 8 marzo 2020, n. 15350/117(2) con la quale il Ministro dell’Interno ha fornito “indicazioni su alcune disposizioni” contenute nel decreto emanato lo stesso giorno dal Presidente del Consiglio dei Ministri, poiché quest’ultimo
“non contempla l’adozione di procedure di autorizzazione preventiva agli spostamenti”.
Pertanto, sulla base di tale rilievo, il Ministro ha dettato
“specifiche modalità di vigilanza sull’osservanza delle cennate prescrizioni, anche ai fini della verifica della rispondenza delle motivazioni addotte dagli interessati ai presupposti indicati dalla disposizione sopra citata”.
Secondo l’atto in esame, le “comprovate esigenze lavorative”, che permettono gli spostamenti in deroga a quanto stabilito alla lett. a) del comma 1 dell’art. 1 del DPCM 8 marzo 2020, possono essere riscontrate anche mediante “elementi documentali”, idonei a provare la “effettiva sussistenza” di tale situazione. Aspetto di particolare importanza, che si riscontra nella direttiva del Viminale, è quello secondo cui
“l’onere di dimostrare la sussistenza delle situazioni che consentono la possibilità di spostamento incombe sull’interessato”.
Secondo il Ministro dell’Interno, tale onere
“potrà essere assolto producendo un’autodichiarazione ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione dei moduli appositamente predisposti in dotazione agli operatori delle Forze di polizia e della Forza pubblica”.
È, infine, da evidenziare che “la veridicità delle autodichiarazioni potrà essere verificata ex post”.
Orbene, l’atto che – secondo la direttiva 8 marzo 2020 del Ministro dell’Interno – è idoneo a provare la “effettiva sussistenza” di “comprovate esigenze lavorative (…), che consentono la possibilità di spostamento”, è la “dichiarazione sostitutiva”, resa ai sensi degli articoli 46 (dichiarazione sostitutiva di certificazioni) e 47 (dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà) del D.P.R. n. 445/2000.
La circolazione del professionista
Pertanto, il professionista, che deve recarsi al proprio studio, è tenuto a compilare e sottoscrivere tale autodichiarazione, avendo cura di indicarne l’indirizzo e di segnare con una barra la dizione “comprovate esigenze lavorative”.
Compiuti tali adempimenti, il professionista può senz’altro recarsi al proprio studio per svolgere l’attività lavorativa.
Il problema, tuttavia, è non tanto di natura formale, quanto, invece, di natura sostanziale. Infatti, in seguito a risposte fornite dal professionista a domande formulate all’atto di un controllo, l’operatore di polizia potrebbe contestare che non sussistono le addotte “esigenze lavorative” (che permettono lo spostamento in deroga ai divieti o alle limitazioni disposti con i provvedimenti legislativi sopra citati), poiché la “specifica” attività, che egli ha dichiarato all’ufficiale di polizia giudiziaria di andare (o di essere andato) a svolgere il suo lavoro in studio ben potrebbe essere eseguita nella propria abitazione con strumenti di comunicazione a distanza.
Non solo, ma – come indicato nel modello di autodichiarazione – le “esigenze lavorative” devono essere anche “comprovate” e, quindi, l’operatore di polizia ben potrebbe eccepire che manca, oppure è inidonea, la “prova” della sussistenza delle esigenze lavorative che hanno determinato lo spostamento.
Non si dimentichi, infatti, che la direttiva del Ministro dell’Interno ha stabilito che
“l’onere di dimostrare la sussistenza delle situazioni che consentono la possibilità di spostamento incombe sull’interessato”.
Questa è la ragione per la quale l’esigenza lavorativa deve essere esplicitata nell’ultima parte del modulo che il professionista è chiamato a compilare: “A questo riguardo, dichiara che…”.
È, infine, da tenere presente che la prova della “esigenza lavorativa” da svolgere fuori della propria abitazione deve attenere, innanzitutto, al fatto che le specifiche attività devono essere compiute esclusivamente nel proprio studio e non da remoto.
Sempre sul tema probatorio, è senz’altro da escludere che l’esigenza lavorativa per legittimare lo spostamento debba essere “indifferibile” e/o “urgente”, dal momento che la prosecuzione delle attività professionali non richiede che ricorrano tali presupposti.
Un ultimo aspetto da trattare concerne l’orario in cui può essere svolta l’attività lavorativa, tenuto conto dei divieti e delle limitazioni imposte.
Non vi è dubbio che l’operatore di polizia non può contestare tout court che l’orario in cui il professionista è stato sottoposto a controllo è incompatibile con lo svolgimento della propria attività lavorativa perché – anche in questo caso – i provvedimenti legislativi sopra richiamata non hanno stabilito particolari fasce orarie in cui deve essere prestata l’attività professionale.
Pertanto, anche in epoca di “Coronavirus”, il professionista può continuare a compiere la propria attività secondo i suoi consueti tempi, ritmi e orari.
È, infatti, noto che il professionista non è legato da vincoli di orario e, dunque, non può contestarglisi che l’ora, in cui è avvenuto il controllo, è inconciliabile rispetto allo svolgimento dell’attività lavorativa, addotto come giustificazione dell’allontanamento.
L’elemento “orario” deve, dunque, essere posto in relazione al tipo, alla quantità e al carico arretrato di incombenti, alla loro natura, complessità e difficoltà: tutti fattori che hanno influito sul tempo che il professionista dovrà (o ha dovuto) impiegare per l’espletamento dell’attività lavorativa.