Approfondimento 8/4/2020 Fondazione Studi: unità produttiva e FIS
Con l’Approfondimento dell’8 Aprile 2020 la Fondazione Studi chiarisce il concetto di unità produttiva, individuato come il parametr discriminante per i trattamenti di integrazione salariale.
Il riconoscimento dei requisiti necessari per l’accesso agli strumenti di integrazione salariale, nell’ambito del più ampio panorama dei cosiddetti “ammortizzatori sociali”, è riferito dal legislatore all’azienda e non a singolo lavoratore, seppure beneficiario ultimo della misura. È, dunque, necessario chiarire quali siano i parametri stabiliti dalla legge perché il datore di lavoro possa avere diritto all’accesso. Concetto cardine di questa parametrazione è quello di unità produttiva, di seguito analizzato nel dettaglio in relazione alla normativa vigente. Il quadro, infatti, a tal specifico riguardo, non appare mutato alla luce delle nuove norme in materia di trattamenti di cassa integrazione emergenziale.
Il concetto di Unità produttiva
L’intero impianto normativo degli ammortizzatori sociali introdotto dal D. Lgs. n. 148/2015 assegna un ruolo di centralità al concetto di “unità produttiva”, quale punto di riferimento ai fini della individuazione dei requisiti fondamentali per il riconoscimento del diritto alla fruizione dei trattamenti di integrazione salariale.
L’unità produttiva rappresenta infatti il parametro essenziale di cui avere
riguardo, tra l’altro:
- per verificare il requisito soggettivo dei lavoratori beneficiari (il possesso di un’anzianità di effettivo lavoro di almeno 90 giorni alla data di presentazione della domanda di concessione, art. 1, co. 2, D. Lgs. n. 148/2015);
- per il calcolo dei limiti temporali massimi di fruizione della misura (24 mesi in un quinquennio mobile, secondo l’art. 4, co. 1, e 30 mesi, sempre in un quinquennio mobile, ai sensi del comma 2, per le imprese dell’edilizia e affini; 13 settimane continuative, limite prorogabile trimestralmente fino al massimo complessivo di 52 settimane, come previsto dall’art. 12, co. 1, D.Lgs. n. 148/2015);
- per radicare la competenza territoriale e individuare la sede Inps deputata alla trattazione delle relative istanze e gestione dei procedimenti.
Le caratteristiche essenziali del concetto di unità produttiva che nel tempo sono state enucleate al fine di individuarne i connotati fondamentali e univoci, in modo da poter rappresentare efficacemente la funzione di centralità assegnatagli dal legislatore, ci consegnano il seguente elenco riassuntivo di peculiarità:
- autonomia organizzativa;
- omogeneità rispetto ai fini dell’impresa;
- disponibilità di risorse umane in via continuativa;
- indipendenza tecnico-funzionale.
Ciò nell’ambito di un quadro generale, che individua l’unità produttiva “in ogni articolazione autonoma dell’azienda avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività dell’impresa medesima”.
L’unità produttiva quale riferimento per la verifica dei requisiti di accesso agli ammortizzatori sociali
Sulla base di queste considerazioni d’ordine generale, l’Inps, ai fini della determinazione dell’unità produttiva quale criterio fondamentale per la verifica della sussistenza dei requisiti legittimanti la concessione degli ammortizzatori sociali, ha individuato un concetto per cui
“la Unità produttiva, concetto introdotto con la riforma degli ammortizzatori sociali operata attraverso il decreto legislativo n. 148/2015 [distinguendosi da quella operativa], presenta invece profili di specificità strettamente connessi al corretto funzionamento delle prestazioni di integrazione salariale afferenti alla Cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria ovvero ai Fondi di solidarietà nel nuovo quadro normativo. In questa prospettiva costituisce Unità produttiva lo stabilimento o la struttura finalizzata alla produzione di beni o all’erogazione di servizi che presenta congiuntamente i seguenti requisiti (circ. n. 197/2015, circ. n. 9/2017, n. 56/2017):
a) risulta dotato/a di autonomia finanziaria o tecnico funzionale,
intendendosi con dette accezioni il plesso organizzativo che presenti
una fisionomia distinta ed abbia, in condizioni di indipendenza, un
proprio riparto di risorse disponibili così da permettere in piena
autonomia le scelte organizzative più confacenti alle caratteristiche
funzionali e produttive dello/a stabilimento/struttura;
b) è idoneo/a a realizzare l’intero ciclo produttivo o una fase
completa dello stesso, intendendosi con detta accezione il plesso
organizzativo nell’ambito del quale si svolge, in tutto o in parte la
produzione di beni o servizi dell’azienda, non limitandosi alla
realizzazione di meri scopi strumentali rispetto ai fini generali
aziendali ovvero ad una fase completa dell’attività produttiva;
c) ha maestranze adibite in via continuativa”. (INPS, Messaggio n. 1444 del 31 Marzo 2017)
Sempre alla ricerca dell’assegnazione di un adeguato grado di certezza a tale requisito, fondamentale in ambito procedurale, la qualificazione di una o più unità produttiva nell’ambito di una determinata realtà aziendale è demandata alle imprese stesse, che vi provvedono con una specifica autocertificazione nell’ambito dell’anagrafica aziendale, con la quale attestano che presso l’unità individuata come produttiva, l’attività non è circoscritta
“alla realizzazione di meri scopi strumentali, sia rispetto ai generali fini dell’impresa sia rispetto a una fase completa dell’attività produttiva della stessa”.
Gli strumenti di integrazione salariale: prestazioni concesse all’azienda a beneficio del singolo lavoratore anche in fase emergenziale
L’individuazione di un criterio con queste caratteristiche e la conseguente assegnazione di un ruolo, come premesso, essenziale derivano dalla considerazione della natura e delle finalità degli strumenti alla cui fruizione è funzionale e preordinata ogni considerazione relativa al concetto di unità produttiva. Gli strumenti di integrazione salariale, infatti, nell’ambito del più ampio panorama dei c.d. “ammortizzatori sociali”, rappresentano prestazioni che sono sì destinate a garantire il sostegno al reddito dei lavoratori per ragioni da loro indipendenti, ma che vengono, nello specifico, materialmente “concesse” ai datori di lavoro, su loro istanza. Pertanto il riconoscimento dei requisiti è riferito dal legislatore all’azienda e non al singolo lavoratore, seppure beneficiario ultimo della misura.
In linea di principio generale, le diverse misure vengono concesse all’azienda che presenta la domanda, una volta valutata la fondatezza delle ragioni di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa che vengono addotte. È perciò giustificato che il punto di riferimento sia l’azienda e nello specifico, la sua unità produttiva, per le esigenze procedural-pragmatiche premesse.
Il quadro non appare mutato alla luce delle nuove norme in materia di trattamenti di cassa integrazione emergenziale. Il D.L. n. 18/2020 infatti, pur sottraendo i richiedenti alla gran parte dei limiti normalmente previsti dal D.Lgs. n. 148/2015, fino a non richiedere l’anzianità di 90 giorni, ma soltanto l’essere in forza al 23 febbraio, non apporta modifiche significative al quadro essenziale di un impianto che, come detto, è preordinato e funzionale a garantire una risposta alle esigenze di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, così come disposte e dimostrate dal datore di lavoro, e per il loro tramite, e a tutelare la continuità retributiva dei dipendenti.
Datori di lavoro ai quali non a caso si rivolgono anche gli articoli da 19 a 22 del decreto “Cura Italia”.
Del resto, la centralità dell’unità produttiva (UP) ai fini dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali, consente un’armonizzazione con una modalità di computo delle singole settimane di integrazione salariale già fruite, ormai consolidata da parte dell’Istituto. In particolare, prima con Circolare n. 58/2009 e poi con il messaggio 13719 del medesimo anno, l’Inps aveva sposato d’intesa col Ministero del Lavoro un computo delle settimane di cassa integrazione che consentisse maggiore flessibilità. I limiti massimi di utilizzo della integrazione salariale fruita vengono ad oggi computati non in relazione alle settimane intere di calendario teoricamente ricomprese nella autorizzazione concessa dall’Istituto (es. autorizzazione per UP di 10 lavoratori per 3.600 ore distribuite per n. 9 settimane dal 2 marzo al 3 aprile 2020), ma verificando le singole giornate di sospensione o riduzione di lavoro occorse all’interno del periodo autorizzato. Si considera cioè interamente goduta una settimana di cassa integrazione solo nel caso in cui la contrazione del lavoro registrata in UniEmens abbia complessivamente riguardato 6 o 5 giorni, a seconda dell’articolazione dell’orario di lavoro normale di lavoro. Questo meccanismo appare con tutta naturalezza applicabile anche alle singole ore autorizzate, sempre all’interno della unità produttiva, consentendo così all’impresa di presentare una nuova richiesta di autorizzazione nel caso in cui l’unità non abbia esaurito le ore autorizzate (nell’esempio 3.600 ore assegnate all’UP, di cui sono state godute soltanto 3.100). La nuova domanda di integrazione salariale potrà riguardare solo le 500 ore residue assegnabili all’UP e potrà quindi collocarsi anche successivamente al periodo di integrazione salariale già autorizzato (nell’esempio dopo il 3 aprile 2020).
Pertanto anche in applicazione delle misure previste dal D.L. n. 18/2020, deve ritenersi che il riferimento essenziale rimanga quello aziendale, non essendo ipotizzabile, a normativa vigente, un diverso approccio, non apparendo in particolare plausibile l’eventualità della considerazione della durata massima di nove settimane come fruizione riferita ad ogni singolo lavoratore, perché ciò contravverrebbe alla funzionalità degli strumenti previsti, ed implicherebbe una pressoché impossibile sua attuazione.