Circolare 10/2019 Fondazione Studi: gli strumenti deflattivi del contenzioso tributario

Con la Circolare 10/2019 la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro analizza i vari strumenti deflattivi del contenzioso tributario previsti dall’ordinamento giuridico italiano, mediante i quali, con diverse modalità e al ricorrere di determinati presupposti, il contribuente può definire la contestazione evitando inutili e logoranti contenziosi.

La circolare della Fondazione Studi analizza quindi, e approfondisce i principali istituti deflattivi, con la precisazione che, per semplicità espositiva, prenderemo a riferimento come autorità fiscale l’Agenzia delle Entrate.

La definizione delle sanzioni amministrative

Il contribuente, a seguito della notifica di un atto di contestazione di violazioni tributarie, di un provvedimento di irrogazione di sanzioni o di un avviso di accertamento o, ancora, di un avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro, può accedere all’istituto della definizione agevolata delle sanzioni amministrative (di cui agli artt. 16, c. 3 e art. 17, c. 2 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472), pagando un terzo della sanzione amministrativa unica pecuniaria irrogata dall’Agenzia delle Entrate, entro il termine perentorio previsto per la presentazione del ricorso (ossia entro 60 giorni dalla data ricevimento dei suddetti atti, salvo l’applicazione aggiuntiva della sospensione feriale dei termini di impugnazione). L’ammontare della sanzione amministrativa pagata non può essere inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo.
Se l’atto in questione è un avviso di accertamento o di rettifica e liquidazione, il contribuente può definire le sanzioni amministrative irrogate pagando un terzo delle stesse e, nel contempo, proporre ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale per contestare l’illegittimità e/o l’infondatezza dell’imposta accertata. L’eventuale esito positivo o negativo del processo non avrà alcun effetto retroattivo sulla pretesa sanzionatoria in precedenza definita.
Ai sensi dell’art. 17, c. 3, D. Lgs. 472/1997, la definizione agevolata delle sanzioni amministrative è esclusa per le violazioni sugli omessi o ritardati versamenti di tributi risultanti dalle attività di controllo automatizzato o formale delle dichiarazioni dei redditi, IRAP e IVA.
Con riguardo alla sanzione amministrativa contenuta nella comunicazione di irregolarità trasmessa dall’Agenzia delle Entrate a seguito della liquidazione automatica o del controllo formale delle anzidette dichiarazioni, detta anche “avviso bonario”, il contribuente può beneficiarie della riduzione della sanzione. Tale riduzione è pari ad un terzo, nel caso della liquidazione automatica (art. 2, comma 2, del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462), o ai due terzi, nel caso del controllo formale (art. 3 del D. Lgs. n. 462 del 1997), a condizione che il contribuente provveda al pagamento delle somme dovute (ivi compresa la sanzione ridotta), o della prima rata, entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione stessa.

L’istanza di annullamento in autotutela

Qualora ritenga totalmente o parzialmente illegittimo e/o infondato un atto impositivo o esclusivamente sanzionatorio, il contribuente può sollecitare l’esercizio del potere di autotutela in materia tributaria da parte dell’Agenzia delle Entrate, presentando in carta semplice un’istanza di annullamento totale o parziale dell’atto. Tale esercizio è disciplinato nell’art. 2-quater del D.L. 30 settembre 1994, n. 564 e nel D.M. 11 febbraio 1997, n. 37.
L’istanza di autotutela non sospende il termine perentorio previsto per l’impugnazione dell’atto impositivo o sanzionatorio, pertanto il contribuente deve prestare molta attenzione a non fare decorrere inutilmente tale termine, pena la definitività della pretesa impositiva o sanzionatoria, che, da un lato, renderebbe molto difficile l’ottenimento dell’autotutela richiesta e, dall’altro, non potrebbe essere evitata mediante l’impugnazione del diniego di autotutela dinanzi al giudice tributario, stante l’attuale giurisprudenza di legittimità (cfr., ex pluribus: Corte di Cassazione, sez. trib., ordinanza 17 luglio 2018, n. 18999; Corte di Cassazione, sez. Trib., sentenza 14 dicembre 2016, n. 25705; Corte di Cassazione, sez. Trib., sentenza 9 agosto 2016, n. 16769; Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 20 febbraio 2015, n. 3442; Corte di Cassazione, VI sez. civile, sentenza 11 dicembre 2014, n. 26087; Corte di Cassazione, SS.UU. civili, sentenza 23 aprile 2009, n. 9669 e Corte di Cassazione, SS.UU. civili, sentenza 27 marzo 2007, n. 7388).
In prossimità della scadenza del termine per proporre ricorso e in assenza di una risposta positiva da parte dell’Ente impositore, il contribuente, laddove ritenga che vi siano i presupposti per una rideterminazione nel merito della pretesa tributaria, dovrebbe valutare l’opportunità di presentare istanza di accertamento con adesione.

L’accertamento con adesione

L’accertamento con adesione, disciplinato dagli articoli da 1 a 13 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, si concretizza in un accordo stipulato con l’Agenzia delle Entrate, prima che venga instaurato il contenzioso sull’atto impositivo, consentendo al contribuente di partecipare alla rimodulazione della pretesa impositiva, ove l’Ufficio impositore accolga le ragioni di parziale infondatezza dell’imposta o della maggiore imposta accertata.
Inoltre, il contribuente, con l’adesione, ottiene la riduzione al terzo del minimo della sanzione amministrativa pecuniaria connessa all’imposta rimodulata, quand’anche nell’avviso di accertamento la sanzione stessa sia stata irrogata nella misura massima.
In realtà, il procedimento di accertamento con adesione può essere incardinato sia prima che dopo la notifica dell’avviso di accertamento o dell’avviso di rettifica e liquidazione delle imposte d’atto (imposta di registro, ipotecaria e catastale). Nello specifico, il comma 1 dell’art. 6 prevede che il contribuente, nei cui confronti sono stati effettuati accessi, ispezioni o verifiche, può presentare istanza di accertamento con adesione chiedendo all’Ufficio impositore la formulazione della proposta di accertamento ai fini dell’eventuale definizione. In tal caso, quindi, l’istanza di accertamento con adesione precede l’emanazione dell’atto impositivo.
Viceversa, se il contribuente ha già ricevuto la notifica dell’atto impositivo, l’istanza di accertamento con adesione può essere presentata nel termine perentorio di 60 giorni decorrenti dalla data di ricevimento dell’atto stesso (art. 6, commi 2 e 3). Tale seconda ipotesi, tuttavia, presuppone che al contribuente, precedentemente all’emissione dell’atto impositivo, non sia stato notificato il cosiddetto “invito a comparire” previsto dall’art. 5 del medesimo decreto legislativo, a mezzo del quale l’Ufficio impositore comunica:

  • i periodi di imposta suscettibili di accertamento;
  • il giorno e il luogo della comparizione per definire l’accertamento con adesione;
  • le maggiori imposte, ritenute, contributi, sanzioni ed interessi dovuti;
  • i motivi che hanno dato luogo alla determinazione delle maggiori imposte, ritenute e contributi di cui alla predetta lett. c).

La presentazione dell’istanza di accertamento con adesione, in forza del comma 3 del citato art. 6, determina la sospensione per un periodo di 90 giorni del termine per proporre ricorso (pari, come già detto, a 60 giorni decorrenti dalla data di ricevimento dell’avviso di accertamento) e della
riscossione delle somme. Pertanto, se il contribuente, entro il termine perentorio di 60 giorni dalla data di ricevimento dell’atto impositivo, non propone impugnazione né istanza di accertamento con adesione né acquiescenza (si veda infra), l’avviso di accertamento si consolida sia per il
tributo che per la sanzione amministrativa pecuniaria nella misura determinata dall’Ufficio impositore.
La disciplina di riferimento non predetermina il contenuto dell’istanza di accertamento con adesione, con l’effetto che essa non deve esplicitare e motivare tutti i termini e i profili di illegittimità e/o di infondatezza dell’avviso di accertamento, potendosi limitare il contribuente a
rappresentare genericamente la sussistenza di una parziale illegittimità e/o infondatezza della pretesa tributaria. Con la predetta istanza, infatti chiede all’Ufficio impositore di essere convocato per l’instaurazione del procedimento di accertamento con adesione ai fini di un’eventuale definizione in contraddittorio della pretesa impositiva.
L’istituto dell’accertamento con adesione può riguardare tutte le tipologie di accertamento tributario (accertamenti analitici, antielusivi, sintetici, presuntivi, induttivi e di valore), anche se risulta particolarmente appropriato per quelle fattispecie di accertamenti che si contraddistinguono per la presenza di margini valutativi. A titolo di mero esempio, si possono richiamare: l’accertamento sintetico, anche nella sottospecie di “redditometro”; l’accertamento analitico-induttivo, basato sull’applicazione delle “medie di settore” o delle “percentuali di ricarico” mediamente applicate nel mercato di riferimento oppure, ove possibile, dalla stessa azienda nel corso dei vari periodi di imposta o, infine, gli avvisi di rettifica e liquidazione emessi in materia di imposta di registro.
Con specifico riguardo alle sanzioni, si deve precisare che possono formare oggetto di definizione “agevolata” solo le violazioni “sostanziali”, come quelle relative al contenuto della dichiarazione o collegate al tributo (cfr. circolare dell’Agenzia delle Entrate 17 settembre 2008, n. 55, par. 3 e circolare dell’allora Ministero delle Finanze 8 agosto 1997, n. 235, par. 2.7), e non anche quelle “formali”, ossia quelle violazioni alle quali non è associato il recupero di base imponibile, né determinano l’applicazione di sanzioni commisurate ad una maggiore imposta accertata. Sono anche escluse dall’ambito applicativo dell’istituto in esame le sanzioni concernenti la mancata, incompleta o non veritiera risposta alle richieste formulate dall’ufficio impositore e quelle applicate in sede di liquidazione automatica delle dichiarazioni (art. 2, comma 5).
Sempre in tema di determinazione delle sanzioni, si evidenzia che gli istituti del “cumulo giuridico” e della “continuazione”, previsti in linea generale dall’art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997, si applicano in modo assai limitato, operando esclusivamente per il singolo tributo e per il singolo periodo di imposta (comma 8 del citato art. 12). Di conseguenza, in presenza di un avviso di accertamento relativo ai tributi IRES, IRAP e IVA o di più avvisi di accertamento concernenti lo stesso tributo ma diversi periodi di imposta, il contribuente potrà solo ottenere la riduzione della sanzione amministrativa pecuniaria ad un terzo del minimo prevista per il perfezionamento dell’adesione, senza poter fruire dell’applicazione del “cumulo giuridico” nella totalità.
L’atto di accertamento con adesione, redatto in duplice esemplare e sottoscritto dal contribuente o dal suo procuratore generale o speciale e dal Direttore dell’Ufficio impositore o da un suo delegato (art. 7, comma 1), indica espressamente le ragioni dell’accordo raggiunto, le basi imponibili delle imposte, la misura delle imposte, delle sanzioni amministrative pecuniarie e degli interessi dovuti.
L’atto di adesione si perfeziona con il versamento delle somme pattuite o della prima rata entro 20 giorni dalla data di sottoscrizione dell’atto di adesione (art. 9). Il contribuente, infatti, può chiedere la rateazione del debito tributario complessivamente dovuto a titolo di tributo, interessi e sanzioni, pagando in un numero massimo di 8 rate trimestrali di pari importo, elevate a 16 se il medesimo debito supera i 50.000 euro (art. 8, comma 2).
Entro i 10 giorni successivi alla data del pagamento dell’importo complessivo o della prima rata, il contribuente deve far pervenire all’Ufficio impositore l’attestazione dell’avvenuto pagamento (art. 8, comma 3) e quest’ultimo rilascerà copia dell’atto di accertamento con adesione sottoscritto.
L’atto di adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell’Ufficio impositore, ma in certe ipotesi, e sempre entro i termini decadenziali, è possibile l’ulteriore azione accertatrice. Nello specifico, l’Ufficio può rinnovare l’esercizio del potere di accertamento nei seguenti casi:

  • esso viene a conoscenza di nuovi elementi che consentano di accertare un maggior reddito superiore al 50% del reddito definito e comunque non inferiore a 74.468,53 euro;
  • la definizione riguarda accertamenti parziali;
  • la definizione riguarda redditi derivanti da partecipazione in società o associazioni di cui all’art. 5 del TUIR o in aziende coniugali non gestite in forma societaria;
  • l’azione accertatrice venga esercitata nei confronti delle associazioni o società o dell’azienda coniugale di cui al punto precedente, alle quali partecipa il contribuente che ha effettuato l’adesione.

L’acquiescenza

Se il contribuente presta acquiescenza all’atto impositivo, rinunciando a proporre ricorso e istanza di accertamento con adesione, può ottenere la riduzione ad un terzo delle sanzioni amministrative irrogate dall’Ufficio impositore, con la specificazione che la misura delle sanzioni non può essere
inferiore ad un quarto dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo (art. 15, comma 1, del D.Lgs. n. 218 del 1997).
L’ottenimento di un siffatto regime sanzionatorio di favore è subordinato alla condizione che il contribuente provveda a pagare, entro il termine per la proposizione del ricorso, le somme complessivamente dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni (queste ultime nella misura di un terzo) o la prima rata. Il contribuente, infatti, come nel caso dell’accertamento con adesione, può rateizzare l’importo complessivamente dovuto in 8 rate trimestrali o, se il debito tributario supera i 50.000,00 euro, in 16 rate trimestrali. Quale che sia la scelta, il contribuente, entro dieci giorni dal pagamento (dell’intera somma o della prima rata), deve trasmettere all’Ufficio impositore copia della quietanza di pagamento.
In merito all’ambito operativo dell’istituto dell’acquiescenza, si evidenzia che esso può operare per i seguenti atti:

  • avvisi di accertamento emessi per le imposte sui redditi, l’IRAP e l’IVA;
  • avvisi di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro, in cui si contesta al contribuente l’insufficiente dichiarazione di valore o l’occultazione di una parte del corrispettivo;
  • avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta sulle successioni in caso di infedeltà della relativa dichiarazione;
  • avvisi di accertamento e liquidazione dell’imposta sulle successione in caso omessa presentazione della dichiarazione di successione;
  • avvisi di liquidazione emessi per il recupero dell’agevolazione prima casa e dell’agevolazione relativa alla piccola proprietà contadina.

Il reclamo/mediazione tributaria

Il contribuente, ove intenda contestare in via giudiziale un atto impositivo o della riscossione rispetto al quale il valore della lite non superi l’importo di 50.000 euro, deve esperire la procedura di reclamo/mediazione tributaria (disciplinata dall’art. 17-bis del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), notificando il ricorso all’Agenzia delle Entrate con funzione anche di reclamo, che può contenere una proposta di mediazione, laddove il contribuente ritenga che la pretesa tributaria non sia integralmente illegittima o infondata.
I documenti e gli atti che il contribuente indica a fondamento della propria domanda dovrebbero essere messi a disposizione dell’Agenzia delle Entrate, ma ove non prodotti potranno comunque essere utilizzati nella successiva fase processuale.
Il procedimento di reclamo/mediazione tributaria non è incompatibile con il procedimento di accertamento con adesione. Pertanto, la possibilità che l’Agenzia delle Entrate e il contribuente pervengano ad un accordo sul debito tributario mediante mediazione non è esclusa dalla circostanza che tale accordo non sia stato raggiunto durante il procedimento di accertamento con adesione.
L’eventuale omesso esperimento della procedura di reclamo/mediazione tributaria determina l’improcedibilità del ricorso, con la conseguenza che la Commissione tributaria provinciale adita rinvia l’udienza per consentire lo svolgimento della medesima procedura (comma 3 del citato art. 17-bis). Il legislatore, peraltro, stante la marcata finalità deflativa dell’istituto in esame, ha previsto che nelle liti soggette a reclamo le spese sono maggiorate del 50% a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento (art. 15, comma 2-septies, del D.Lgs. n. 546 del 1992).
Decorsi infruttuosamente 90 giorni dalla data in cui l’Ufficio impositore abbia ricevuto il ricorso/reclamo (durante i quali comunque è sospesa la riscossione coattiva del debito tributario), il contribuente, potrà costituirsi in giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, depositando il ricorso nel termine perentorio dei successivi 30 giorni, laddove ricorrano le seguenti ipotesi:

  • il reclamo è stato espressamente respinto dall’Ufficio impositore nell’anzidetto termine di 90 giorni;
  • l’eventuale proposta di mediazione formulata dal contribuente ha trovato accoglimento parziale da parte dell’Ufficio impositore nell’anzidetto termine di 90 giorni;
  • la proposta di mediazione proposta dall’Ufficio impositore nell’anzidetto termine di 90 giorni non è soddisfacente;
  • nessuna comunicazione è pervenuta dall’Ufficio impositore nel medesimo termine di 90 giorni.

Viceversa, nel caso in cui l’Ufficio impositore accolga il reclamo, annullando integralmente l’atto, o definisca insieme al contribuente il rapporto giuridico tributario mediante mediazione, nessun giudizio tributario sarà incardinato.
Il principale effetto dell’accordo di mediazione o dell’accoglimento del reclamo con cui il contribuente contestava solo parzialmente il tributo consiste nella riduzione delle sanzioni amministrative al 35% del minimo edittale, corrispondente all’ammontare del tributo ridefinito in contraddittorio con l’Ente impositore. Come nel procedimento di accertamento con adesione, gli istituti del cumulo giuridico e della continuazione sono assai limitati, operando per singolo tributo e per singolo periodo di imposta.
Si osserva, però, che l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 9/E del 19 marzo 2012 ha evidenziato che, qualora non vi siano margini per la riduzione della pretesa, l’Ufficio impositore, sebbene non obbligato, è legittimato a concludere un accordo di mediazione che confermi integralmente il tributo contestato con l’atto impugnato, con conseguente beneficio della riduzione al 35% delle sanzioni amministrative irrogate.
La mediazione si perfeziona con il pagamento delle somme complessivamente dovute o della prima rata, che, come nel procedimento di accertamento con adesione, deve avvenire entro 20 giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo e l’attestazione dell’avvenuto pagamento deve pervenire all’Ufficio impositore nei 10 giorni successivi al pagamento (art. 17-bis, comma 6, del D.Lgs. n. 546 del 1992 e art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 218 del 1997).
Il pagamento rateale potrà avvenire in un numero massimo di 8 rate trimestrali di pari importo, elevate a 16 se il debito tributario risultante dall’accordo di mediazione superi, complessivamente, l’importo di euro 50.000.

La conciliazione giudiziale

Le controversie tributarie, sia nel primo grado che nel secondo grado del giudizio, possono essere oggetto di conciliazione giudiziale. Il difensore, al fine di poter sottoscrivere l’accordo, deve essere munito di procura specifica rilasciata dal contribuente, trattandosi di disposizione del diritto in contesa (art. 84 del c.p.c.).
La conciliazione giudiziale è un accordo tra Agenzia delle Entrate e contribuente che definisce totalmente o parzialmente la controversia, ed ha come principale effetto la riduzione delle sanzioni, che può essere, nel primo grado, al 40% del minimo edittale e, nel secondo grado, al 50% del
minimo edittale corrispondente all’importo dei tributi rideterminati in contraddittorio con il contribuente (art. 48-ter, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1997). Tuttavia, in modo speculare a quanto osservato per il procedimento di reclamo-mediazione tributaria, l’Agenzia delle Entrate e il contribuente potrebbero legittimamente concludere un accordo conciliativo che confermi integralmente la pretesa impositiva al solo fine di consentire al contribuente di beneficiare della riduzione delle sanzioni amministrative, fermo restando che l’opportunità di conseguire un simile accordo è rimessa alla valutazione dell’Ufficio impositore (circolare n. 291/E del 18 dicembre 1996 del Ministero delle Finanze).
La conciliazione giudiziale può avvenire sino a quando si chiude l’udienza e si distingue in “conciliazione fuori udienza” (art. 48, D.Lgs. n. 546 del 1997) e “conciliazione in udienza” (art. 48-bis, D.Lgs. n. 546 del 1997).
La “conciliazione fuori udienza” si caratterizza per il fatto che le parti processuali depositano istanza congiunta, sottoscritta dal contribuente personalmente o dal suo difensore munito di procura specifica (art. 48, comma 1). In tal caso, se la data di trattazione del ricorso o dell’appello è già fissata e sussistono le condizioni di ammissibilità, la Commissione Tributaria Provinciale o Regionale pronuncia sentenza di cessazione della materia del contendere, ove la conciliazione sia totale. Se l’accordo conciliativo è parziale, le anzidette Commissioni dichiarano con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere e procedono all’ulteriore trattazione della causa (art. 48, comma 2). Se la data di trattazione del ricorso o dell’appello non è fissata, provvede con decreto il Presidente della sezione a cui è stato assegnato l’atto introduttivo del grado di giudizio (art. 48, comma 3). La “conciliazione fuori udienza” si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo, nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute dal contribuente o per il pagamento di quelle dovute a quest’ultimo, come nel caso di liti su rimborsi di imposta.
La “conciliazione in udienza” si caratterizza per il fatto che ciascuna parte processuale, entro dieci giorni liberi prima dell’udienza, può presentare istanza per la conciliazione totale o parziale della controversia (art. 48-bis, comma 1). All’udienza, la Commissione Tributaria Provinciale o Regionale, se sussistono le condizioni di ammissibilità, invita le parti alla conciliazione rinviando eventualmente la causa alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo (art. 48-bis, comma 2). La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento e, in tale eventualità, la Commissione Tributaria dichiara con sentenza l’estinzione totale o parziale del giudizio per cessazione della materia del contendere (art. 48-bis, commi 3 e 4). Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute dal contribuente, come nel caso delle liti su rimborsi (art. 48-bis, comma 3).
Il versamento degli importi dovuti sulla base dell’accordo conciliativo o della prima rata deve avvenire entro 20 giorni dalla sottoscrizione dell’accordo o dalla formazione del processo verbale (art. 48-ter, comma 2). Come nell’accertamento con adesione e nel procedimento di reclamo/mediazione è ammessa la dilazione dell’importo dovuto in 8 rate trimestrali oppure 16 rate trimestrali, se il debito tributario conciliato supera l’importo complessivo di 50.000 euro (art. 48-ter, comma 4 e art. 8, comma 2, del D.Lgs. n. 218 del 1997).
Nell’ipotesi in cui il contribuente non adempia al pagamento di quanto dovuto sulla base dell’accordo di conciliazione o di una delle rate entro il termine fissato per la rata successiva, l’Agenzia delle Entrate procederà all’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione amministrativa pecuniaria pari al 45% dell’importo ancora dovuto a titolo di tributo (art. 48-ter, comma 3, del D. Lgs. n. 546 del 1992 e art. 13, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471), posto che il processo verbale formato in udienza o l’accordo sottoscritto fuori udienza costituiscono titolo per la riscossione delle somme dovute dal contribuente.