Approfondimento 30/5/2019 Fondazione Studi: bonus fiscali per impatriati

Con un recente Approfondimento dello scorso 30 Maggio 2019 la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro affronta l’importante capitolo dei bonus fiscali attualmente fruibili dalle imprese per i lavoratori impatriati.

Il tema viene considerato intavolando un confronto con le agevolazioni fiscali predisposte dal legislatore negli scorsi anni e vengono illustrate, in particolare, le novità previste dal cosiddetto Decreto Crescita, recentemente approvato e attualmente in fase di conversione in legge.

Bonus fiscali per impatriati: la mobilità internazionale e l’attrattività del sistema Italia

In un mondo del lavoro senza più vincoli geografici fondamentali, grazie anche alla libera circolazione dei lavoratori comunitari, alla internazionalizzazione dei percorsi di studi e all’alta formazione, nonché allo sdoganamento introdotto dal lavoro agile a partire dal 2017, i lavoratori si ritrovano sempre più spesso a modificare la propria residenza fiscale in funzione delle proprie scelte lavorative, accettando l’offerta di lavoro di un’impresa straniera o, ancora, di essere coinvolti in progetti di mobilità internazionale che – dal punto di vista lavoristico – si inscrivono nella cornice civilistica del distacco (art. 30 D. Lgs. 276/2003). Per potere richiamare in Italia le eccellenze migrate all’estero, per abbattere il cuneo fiscale e attrarre talenti proveniente da altri Stati e resistere a più dilaganti fenomeni di dumping internazionale, il legislatore già dal 2010, con la L. 238/2010, ha previsto una serie di vantaggi fiscali che con il tempo, esclusivamente a favore del potere d’acquisto dei lavoratori (privi cioè di qualsiasi sgravio contributivo a riduzione dei costi aziendali), hanno registrato diverse modifiche portando ad agevolazioni coronate dal Decreto Crescita, apparso lo scorso 30 aprile 2019 e ora in attesa di conversione definitiva in legge.

Evoluzione normativa: dalla Legge 238/2010 alla prima versione del D. Lgs. 147/2015 fino al Decreto Crescita

Fatta eccezione per docenti e ricercatori, il primo provvedimento relativo alle agevolazioni relative al ‘rientro dei cervelli’ dei lavoratori ‘contro-esodati’ è da individuare nella legge n. 238/2010, attiva fino al 2017 e modificata prima dal D. L. 216/2011, poi dal D. L. 192/2014. L’agevolazione disposta da questa prima norma è consistita in una riduzione della concorrenza reddituale dei redditi di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa i quali, per i possessori dei requisiti prescritti della norma, venivano ridotti nella loro base imponibile dell’80% per le lavoratrici e del 70% per i lavoratori, a partire dall’anno di rientro (e comunque non prima del 2011 e fino al 2015) fino al 31 dicembre del 2017.

Per potere rientrare nella platea dei beneficiari dei vantaggi economici, i lavoratori dovevano:

  • aver risieduto per 2 anni in Italia prima di trasferirsi all’estero (anche senza successivamente iscriversi all’AIRE);
  • essersi laureati e aver svolto attività di lavoro dipendente, autonomo o di impresa all’estero per 24 mesi o, in alternativa, aver studiato in un paese estero per 24 mesi conseguendo un titolo accademico (anche di specializzazione);
  • aver trasferito la residenza anagrafica in Italia entro 3 mesi dall’assunzione o dall’avvio dell’attività;
  • lavorare in Italia sotto forma di lavoratori dipendenti, autonomi o come imprenditori.

ll legislatore, dopo appena un anno dall’ultima modifica della L. 238/2010, decide di rendere strutturale tale beneficio, riducendone però il margine di vantaggio fiscale e rendendone più severi i requisiti necessari. Nel contesto del decreto internazionalizzazione, l’articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015 introduce un nuovo beneficio fiscale per i cd. impatriati, prevedendo una sorta di canale alternativo rispetto al più generoso bonus fiscale della L. 238/2010 (ormai ad esaurimento e con la possibilità, per gli allora beneficiari della previgente agevolazione di ‘optare’ per il nuovo regime), prevedendo un beneficio fiscale più modesto (riduzione dell’imponibile fiscale solo del 30%), modificato dopo poco con la legge di bilancio del 2016 (art. 1, c. 259, L. 208/2015) e – prima del più incisivo intervento del Decreto Crescita – da ultimo con l’art. 1, c. 150 della L. 232/2016 che aveva fra le altre cose portato lo sconto dal 30 al 50% dell’imponibile fiscale degli impatriati (sul punto cf. Approfondimento di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro del 24 aprile del 2017). A partire dal 2018, oltre alle agevolazioni per docenti e ricercatori, il D. Lgs. 147/2015 rimane l’unica fonte di agevolazione fiscale per l’incentivazione dei lavoratori impatriati.

Per prima cosa, l’agevolazione in esame è estesa dal decreto crescita, a partire dal prossimo anno, anche ai redditi d’impresa prodotti dai lavoratori impatriati (alternativamente rientranti nel comma 1 o 2 dell’art. 16 del decreto internazionalizzazione come modificato dal decreto crescita) a condizione che questi diano vita a un’attività d’impresa in Italia non prima del 2020. Come si può evincere dalla tabella, la misura ‘standard’ dello sconto fiscale è ampliata dal 50% (introdotto dal 2017 ed efficace fino al 2019) al 70%, con una effettiva concorrenza reddituale del solo 30% dei proventi da attività di lavoro dipendente, autonomo o di impresa. La durata minima dello sconto rimane fissata a un totale di 5 anni (dall’anno di trasferimento della residenza fiscale in Italia fino alla fine del 4° anno successivo). Il decreto crescita prevede poi due ulteriori tipi di bonus: una proroga della agevolazione per ulteriori 5 anni e un ulteriore sconto del 20% della non concorrenza della base imponibile (con residua assoggettabilità a imposte ed addizionali del solo 10% di quanto percepito, al netto del prelievo contributivo).

Il beneficio fiscale passerà dal 30% al dimezzamento dell’imponibile fiscale per altri 5 anni (per un totale complessivo di 10 anni agevolati prima al 30% e poi al 50% di concorrenza alla formazione del reddito fiscalmente imponibile) per:

  • i lavoratori con un figlio minorenne o, in alternativa, fiscalmente a carico, anche nel caso di affidi preadottivi;

oppure

  • i lavoratori che diventino titolari del diritto di proprietà a partire dall’anno prima del trasferimento in Italia di almeno un immobile residenziale situato in Italia nel territorio dello Stato. L’immobile potrà essere stato acquistato anche dal coniuge o unito civilmente o convivente o dai figli, anche in caso di una comproprietà con lo stesso beneficiario del bonus.

Il decreto crescita (inserendo il c. 3-bis nell’art. 16 del D.Lgs. 147/2015) migliora ulteriormente il quantum del beneficio nel secondo quinquennio sopra menzionato per i lavoratori impatriati che abbiano almeno 3 figli minorenni o, comunque, a carico. In questo caso (lavoratore con almeno 3 figli minorenni o a carico, anche in affido preadottivo), l’agevolazione consisterà in 10 anni complessivi di sconto fiscale di cui i primi 5 anni con una concorrenza reddituale limitata al 30% dei redditi di lavoro e nei successivi 5 con un abbattimento degli stessi del 90% degli stessi. L’ultima, più estensiva, agevolazione fiscale cumulativa per impatriati prevista dal nuovo c. 5-bis riduce ulteriormente il reddito imponibile dei primi 5 anni di trasferimento in Italia degli impatriati, portandolo al solo 10% per i lavoratori che trasferiscano la propria residenza in una delle otto regioni del mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia), già beneficiarie dello sfortunato Bonus Sud.

La platea dei beneficiari standard del nuovo bonus fiscale per impatriati

La prima platea: l’art. 16, c.1 del D. Lgs. 147/2015

Il Decreto crescita ha inteso semplificare notevolmente i requisiti di accesso ai benefici fiscali riservati ai cd. impatriati, rendendo molto più accessibili le condizioni richieste rispetto alla previgente forma della norma in esame.

Il primo requisito richiede ora (post Decreto Crescita) solo 2 e non 5 anni di residenza estera prima del trasferimento in Italia, oltre all’impegno a mantenere la residenza in Italia per almeno 2 anni; scompare nella nuova formulazione della norma qualsiasi riferimento in merito al ruolo e al livello di responsabilità del lavoratore agevolato. In riferimento alla lettera (a) l’istanza di semplificazione ed allargamento della platea dei beneficiari è ulteriormente amplificata dal successivo comma 5-ter, il quale dispone:

5-ter. I cittadini italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) rientrati in Italia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 possono accedere ai benefici fiscali di cui al presente articolo purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui al comma 1, lettera a). Con riferimento ai periodi d’imposta per i quali siano stati notificati atti impositivi ancora impugnabili ovvero oggetto di controversie pendenti in ogni stato e grado del giudizio nonché per i periodi d’imposta per i quali non sono decorsi i termini di cui all’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, ai cittadini italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2019 spettano i benefici fiscali di cui al presente articolo nel testo vigente al 31 dicembre 2018, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui al, comma 1, lettera a). Non si fa luogo, in ogni caso, al rimborso delle imposte versate in adempimento spontaneo.

Secondo tale combinato disposto, dunque, il requisito di cancellazione dall’anagrafe del comune italiano di residenza e la contestuale iscrizione all’AIRE (che ai sensi dell’art. 2 del T.U.I.R. è un prerequisito fondamentale per potere risultare fiscalmente residente all’estero e quindi rientrare nel primo pre-requisito della norma) viene superato e reso non più necessario, risultando del tutto alternativo a quello della residenza estera ai sensi dell’articolo 4 delle convenzioni bilaterali internazionali contro le doppie imposizioni redatte su Modello OCSE e siglate con l’Italia con numerosissimi paesi (la lista è disponibile alla pagina ufficiale del MEF relativa alle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni).

Dunque, nel caso in cui il lavoratore impatriato, per almeno due anni d’imposta (dunque per più di 183 giorni per ciascuno) sia risultato non residente fiscalmente in Italia o ai sensi dell’art. 2 del TUIR o ai sensi dell’art. 4 della Convenzione in analisi (che si basa anche su dove sia localizzata l’abitazione principale dell’impatriato, sul centro dei suoi interessi vitali etc.) potrà comunque legittimamente godere dell’incentivo, sia in riferimento a quelli di nuova formulazione vigenti dal 2020, sia -limitatamente alla precedente edizione del bonus fiscale – per i soggetti che avevano anche già instaurato un contenzioso con l’amministrazione finanziaria, purché i relativi atti impositivi siano ancora impugnabili o già oggetto di controversie o comunque entro i termini di accertamento (5 o 7 anni). L’unico caso in cui questa novità normativa non potrà produrre alcun beneficio sarà quello in cui i soggetti avranno già versato le imposte in adempimento spontaneo, non potendo dare luogo a restituzione delle stesse. In ordine al requisito del mantenimento della residenza fiscale in Italia per almeno 2 anni, resta valido quanto già osservato dalla Amministrazione finanziaria, vale a dire che il biennio di permanenza nel territorio dello Stato decorre dal periodo di imposta in cui il lavoratore diviene fiscalmente residente e si esaurisce il 3 luglio del 2° anno di residenza fiscale italiana. Nel caso in cui il lavoratore trasferisca prima dei 2 anni la propria residenza fiscale, l’art. 3 del DM MEF del 26 maggio 2016 ha chiarito che l’Agenzia delle Entrate provvederà al recupero dei benefici già fruiti, con applicazione delle relative sanzioni e interessi.

In merito al secondo, contemporaneo requisito sub lett. b), va rilevato come venga superata la precedente impostazione che richiedeva che l’attività lavorativa dell’impatriato – per potere dare origine al benefici o dovesse essere resa a favore di un datore di lavoro identificato in una società residente in Italia o in una società a questa collegata (Cf. Circolare Agenzia delle Entrate n. 17/E 2017, par. 3.3). L’unica discriminante diviene dunque ora la località dove viene prestato il lavoro dell’impatriato, vale a dire nel territorio dello stato. Per potere godere, in ciascuno dei 5 o 10 anni di lavoro in Italia, del beneficio fiscale, i lavoratori impatriati dovranno prestare la loro attività ‘prevalentemente nel territorio dello Stato’. Dunque per più di 183 giorni per ogni anno: inoltre (Cf. cit. Circolare ADE 17/E 2017, par. 3.3) nel computo dei 183 giorni saranno inclusi i giorni lavorativi, ma anche le ferie, le festività, i riposi settimanali e altri giorni non lavorativi escludendo i giorni di trasferta di durata superiore a 183 giorni, o il distacco all’estero, essendo tale attività lavorativa prestata fuori dall’Italia. Viene inoltre meno anche un altro costante motivo del contendere, che aveva portato all’emanazione di numerosi provvedimenti di prassi (come la Risposta 45/2018 dell’Agenzia delle Entrate), vale a dire il rientro in Italia di cittadini che erano stati residenti all’estero a causa di contratti di distacco, poi cessati. Già nella citata risposta l’Agenzia aveva smussato la precedente impostazione più rigida della Circolare 17/E 2017, consentendo in alcuni casi la fruizione del bonus anche in presenza a rientri in Italia dopo un periodo di distacco.

La seconda platea: l’art. 16, c. 2 del D. Lgs. 147/2015

L’art. 5 del D.L. 34/2019 (c.d. decreto crescita) non ha apportato modifiche al comma 2, art. 16 del D.Lgs. 147/2015. Tale norma, continua a prevedere che, per usufruire del criterio agevolato di determinazione del reddito di cui al precedente comma 1, i contribuenti:

  • mantengano la residenza e lavorino in Italia per almeno due anni;
  • siano in possesso di un diploma di laurea ed abbiano lavorato continuativamente all’estero da dipendenti, lavoratori autonomi o come imprenditori negli ultimi ventiquattro mesi (ovvero che nello stesso periodo siano stati all’estero per laurearsi o per ottenere una specializzazione post lauream);
  • siano cittadini comunitari o di paesi extra-comunitari con i quali l’Italia abbia sottoscritto e ratificato una convenzione per evitare le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale.

Le importanti modifiche apportate al comma 1 dell’art. 16, quali la riduzione del periodo di residenza all’estero richiesto, associata al fatto che non è più necessario che il soggetto svolga ruoli direttivi durante il periodo di permanenza in Italia, spingeranno i soggetti in possesso dei requisiti ad un maggior ricorso alla fattispecie di cui allo stesso comma 1, rispetto a quella regolamentata dal comma 2 del medesimo articolo 16, D. Lgs. 147/2015.
Pertanto, il comma 1 potrà essere sicuramente utilizzato per i casi in cui il soggetto impatriato non sia laureato. L’utilizzo del comma 2, invece, riguarderà i soggetti che, oltre ad avere gli altri requisiti, siano laureati e lavorino in trasferta all’estero per un periodo superiore a 183 giorni, in assenza di un contratto di distacco. Si ritiene che possa essere applicata la tassazione agevolata per i redditi dagli stessi prodotti in Italia, mentre si attendono chiarimenti dall’Amministrazione finanziaria se sia preclusa la tassazione agevolata per i redditi prodotti all’estero durante i giorni di trasferta. Va infine notato come il comma 5-ter sopra richiamato consenta di superare la precedente impostazione dell’amministrazione finanziaria, esplicitata con Risposta n. 36/2019 che richiedeva anche per la platea del comma 2 la precedente residenza all’estero (prima del trasferimento in Italia) ai sensi dell’art. 2 del T.U.I.R., a differenza del nuovo orientamento normativo che identifica nei più generalizzati criteri dell’art. 4 del Modello OCSE i parametri di individuazione della residenza dei soggetti impatriati prima del trasferimento in Italia.

Oltre a delle utili tabelle comparative che chiariscono le differenze che contraddistinguono le disposizioni normative che si sono succedute in materia di lavoratori impatriati, l’Approfondimento del 30 Maggio 2019 della Fondazione Studi si conclude con due esempi pratici che illustrano le modalità di calcolo delle agevolazioni fiscali descritte.